"POESIA FRA DUE SECOLI TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE" di Eduardo Terrana


POESIA FRA DUE SECOLI TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE

di Eduardo Terrana

La ribalta poetica tra il finire dell’800 e l’inizio del ‘900, spesso ingiustamente poco considerata, presenta diversi poeti, relativamente definibili minori, che si muovono liricamente tra innovazione e tradizione.
La poesia fra i due secoli, avverte, infatti, da un lato la suggestione del decadentismo, lasciandosi prendere dalla folgorante capacità simbolista dell’intuizione di cogliere l’essenza delle cose in cui l’intera realtà si configura: è il caso di Giovanni Bertacchi, Enrico Thovez, Pietro Mastri, ma dall’altro l’apertura al nuovo non viene avvertita da tutti, come esigenza e come stimolo, anzi si registra in qualcuno un persistere neoclassico-parnassiano: Francesco Pastonghi , ed in qualcun altro addirittura l’ispirazione poetica si connota di un delicato neoromanticismo: Luisa Giaconi. In altri ancora la poesia è vissuta contemporaneamente con la sensibilità della tradizione e la curiosità del rinnovamento: Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Gian Pietro Lucini.
Tra i poeti più significativi di questo periodo ricordiamo Domenico Gnoli, Angiolo Silvio Novaro, Giovanni Cena, Luisa Giaconi, Ada Negri, Carlo Michelstaedter, Francesco Pastonghi.
Sono liriche, freschissime e modernissime di forme e di spirito, quelle del romano Domenico Gnoli, nato nel 1838 e vissuto a Roma, dove muore nel 1915.
Fervido e ardito, Gnoli è un innovatore che avverte forte il bisogno di aprirsi al nuovo e di reagire ad una tradizione poetica , a suo avviso, stanca ed inaridita.
La sua poesia è un incitamento “ ad aprire i vetri “ e a rinnovare “l’aria chiusa “, come egli scrive, con la chiara allusione al rinnovo della poesia sia sul piano dei contenuti che delle strutture metriche e ritmiche, ormai antiquate e non più rispondenti alle istanze ed alle esigenze dell’uomo che pone il nuovo secolo, il XX °, che va a cominciare la sua avventura storica ed umana. L’ansia del nuovo è tutta espressa nella poesia “Apriamo i vetri”, in cui lo Gnoli, accennando alla “Musa” che “giace anemica sul giaciglio dei vecchi metri”, evidenzia la nuova poetica che chiedeva “ la condanna assoluta, implacabile, di ogni forma di arte esteriore, premeditata, voluta”, e “una nuova poesia più consentanea al presente suo essere”, capace dunque “ di esprimere una nuova coscienza”, più aderente alle esigenze del presente e più rispondente alla nuova situazione umana.
Persona discreta, poeta sensibile, Gnoli non rinuncia ad esprimere nella poesia il suo mondo più intimo e sofferto, ma lo fa con estrema riservatezza, tentando di nascondere il suo io più nascosto e segreto, perciò pubblica le sue creazioni non con il proprio nome, ma servendosi di pseudonimi . Così sarà Dario Gaddi nella pubblicazione della prima silloge “ Versi”, del 1871, e Giulio Orsini nella raccolta “ Fra terre ed astri”, del 1904, in cui si nota una lontana eco tardo romantica, accostabile agli influssi del nuovo decadentismo pascoliano e dannunziano, che a tratti assume connotazioni crepuscolari.
Angiolo Silvio Novaro, nato a Diano Marina in Liguria nel 1866 e morto nel 1938.
Scrive di lui il Pellizzi, un critico contemporaneo, dopo la lettura dei versi delle sue raccolte “La casa del Signore” e ”Il cestello” , del 1905: ” anche quando con intenzione candidissima Egli dice di poetare per i fanciulli, l’animo suo si aggira in una atmosfera solenne e dolce insieme: senti in lui un’anima che si invigila, una coscienza morale occhiuta, non mai distratta, assieme all’amore per la limpida espressione, per la rima tersa…Anche in lui c’è un poco del Fanciullino del Pascoli ma gli manca quell’alone epico e passionale, quella piena atmosfera musicale, che fanno del Pascoli un poeta di insopprimibile evidenza ”. La prima produzione poetica di Angiolo Silvio Novaro risente di una forte influenza dannunziana, di cui però presto se ne libera per dare sfogo ad una sensibilità orientata già in senso spiritualistico- decadente, presente nella raccolta poetica: “Il cuore nascosto”, del 1920 . Il fatto che più incise nella vita dell’uomo e del poeta Angiolo Silvio Novaro fu la perdita, nella prima guerra mondiale, dell’unico figlio Jacopo, per il quale nel 1919 scriverà le prose de “Il fabbro armonioso”, pagine toccanti di rievocazione e di memoria del figlio perduto. Le poesie più fresche, genuine, toccanti, di Angiolo Silvio Novaro sono comunque da ricercare nella silloge “ Il cuore nascosto” dove il canto risorge dal nostalgico vagheggiamento di occasioni felici ormai lontane nel tempo ma non nel ricordo e nel cuore del poeta.
Nella lirica “La casa delle farfalle”, la presenza delle farfalle, nella trama rievocativa, assume una intensità simbolica che ne accresce la tensione.
Nella poesia “Quando il sole va sotto” il poeta ci offre l’immagine incantata di un crepuscolo che ha una levità di fiaba. L’ora lo persuade alla meditazione sul valore delle fatiche e degli affetti umani e riaffiora il ricordo delle persone care che non sono più. Si fa allora pesante l’angoscia della solitudine, che prende inesorabile, annienta il fisico e lo spirito e muove al pianto.
Giovanni Cena, nato a Montanaro Canavese, Torino, nel 1870 e morto a Roma nel 1917, si rivelò col poemetto “ Madre”, 1892, in cui le lacrime si sciolgono in un rivolo di vera e umana poesia , che nel dolore degli umili troverà momenti di ispirazione sincera, di cui è testimonianza la sua seconda raccolta “In Umbria”.
Scrittore e poeta Cena fu anche un promotore instancabile di istituzioni volte all’educazione degli umili, dei più miseri braccianti di campagna, soprattutto in quelle realtà paludose in cui si tentava di vincere le ostilità della natura con la paziente bonifica .Svolse pertanto la sua benemerita opera contro l’analfabetismo nell’Agro Romano e nelle Paludi Pontine, aprendo scuole, asili e promuovendo l’assistenza dei fanciulli.
Col trascorrere degli anni l’opera di educatore e l’impegno sociale di riscattare il bracciantato delle campagne ad un livello di umana coscienza e dignità, presero il sopravvento sull’amore per la poesia.
Espressione di un pathos intrinseco di una sofferta esperienza umana è la lirica “Piccola bara” dal contenuto semplice ma comunque toccante.
Un marinaio, in riva al mare, porta verso il cimitero , sotto il braccio sinistro , pietosamente ,una piccola bara .
Il silenzio che accompagna il momento è rotto dal frangersi monotono delle onde del mare che suonano una triste musicale nenia d’addio.
Luisa Giaconi , nata a Firenze nel 1870 e morta, giovanissima, nel 1908 . La sua poesia rappresenta un momento elevato della letteratura italiana sviluppatasi nei primissimi anni del ‘900. Il suo nome si lega a un esile volume di versi la “Tebaide” pubblicato postumo in due edizioni nel 1909 e nel 1912. Sono in tutto 44 poesie che collocano la Giaconi tra le più significative ed originali espressioni del simbolismo italiano in ambito femminile. Tra le sue opere anche “Dalla mia notte lontana”, del 2001 e “Le poesie, le lettere, gli inediti”, del 2009.
La poesia della Giaconi esprime una sensibilità tormentosa, resa con eleganza e musicalità, i cui punti di riferimento sono Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio e, in ambito internazionale, i poeti preraffaelliti, parnassiani e decadenti. Sono poesie da cui emergono, come scrive Dino Campana: “sogni meravigliosi”, “scorci di terra”, “oasi immense”, le cui tematiche sono costituite, dalla contrapposizione fra realtà e sogno, dal desiderio di infinito, dalla trasformazione misterica degli elementi naturali come il vento, dalla presenza della morte quale suggestione inquietante nel quotidiano, oltre che passaggio verso una realtà superiore.
Una delle sue liriche più belle è senza dubbio “ Il Vento” in cui la notte è immagine di quel “nulla eterno” in cui si dissolve la realtà, poiché tutto è sogno, tutto è “sconfinata vanità che illude”.
ADA NEGRI, nata a Lodi nel 1870 e morta a Milano nel 1945.
La sua è una poesia che rispecchia le sue origini travagliate e lascia trasparire una ispirazione dolorosa.
Di intensa femminilità, vigorosa e combattiva, Ada Negri tenta , con slancio generoso e con fermi propositi ,la poesia sociale ed umanitaria, ma riesce assai meglio quando canta le intense vigilie, le angosce e le audaci speranze della giovinezza: “Fatalità” (1892), “Tempeste” (1894), o quando si culla e si chiude nel suo sogno di madre: “Maternità “ (1904).
La sua ispirazione attinge quasi sempre a profondi lieviti spirituali e morali, a sollecitazioni concrete della natura e della realtà.
Così in “Vertigine” la poetessa si immagina mentre scende da una strada scoscesa di Napoli. Ad un tratto è colta da vertigine ed ha l’impressione che tutto intorno si muova con lei, quando all’improvviso si aprono delle voragini e lei vi precipita dentro.
Grida, ma il suo non è un grido di disperazione bensì di gioia, perché nel fondo dell’abisso l’attende l’abbraccio pietoso di Dio.
Nella lirica “Ritorno per il dolce Natale”, che, come “Vertigine”, fa parte anch’essa dei “Carmi dell’isola”, si rileva un pathos delicato,intenso, incisivo.
E’ natale, la festa più bella, più sagra della cristianità. Una madre si appresta all’intimità della festa familiare che però registra l’assenza del figlio morto in guerra. Ma il soldato morto è comunque presente nella memoria della madre che , lasciato socchiusa la porta “ Del ricordo, del cuore” è l’ unica a vederlo presente, “ nel cerchio della famiglia pallida e muta “, e avvia con lui un umanissimo dialogo sul calvario della guerra che tutti subiscono e soffrono in silenzio.
La componente d’ordine spirituale e cristiano emerge nella raccolta “Pensiero d’autunno ( in Vespertina )” in cui, secondo Frattini-Tuscano, “ nella trasparente naturalezza della immedesimazione analogica s’incarna il più genuino anelito a una comunione trasfigurante in quel DIO che, padre di tutte le creature, le si rivela come nuovo sicuro approdo alla sua inesausta ansia d’amore e di luce “.
L’esperienza poetica di Carlo Michelstaedter, nato a Gorizia nel 1887 e morto a soli 23 anni nel 1910, è di brevissima durata.
La sua è una poesia di pensiero che spicca per profondità ed intensità . Una poesia che nasce da una lacerante inquietudine interiore per il senso della vita che è sempre sfuggente e per quel senso dell’uomo sempre votato alla rinuncia.
Nella lirica “Risveglio” emerge il senso disperato dell’esistenza di questo giovanissimo poeta-filosofo suicida.
Il desiderio di verità, il senso della morte come liberazione , ricercate e vissute in una equilibrata evocazione idilliaca e sofferta meditazione, fanno di Michelstaedter , poeta, un antesignano dell’esistenzialismo novecentesco.
Concludiamo questa rassegna sui poeti fra i due secoli, con Francesco Pastonghi,
nato nel 1877 e morto nel 1953, del quale Frattini-Tuscano evidenzia la “ figura di poeta-artista in cui si registra il lento moto di trapasso fra la tradizione tardo-ottocentesca e la più sottile e raffinata sensibilità che caratterizza la nuova letteratura fra gusto liberty ed estetismo dannunziano, eleganze parnassiane ed intimismo decadente.”
Pastonghi oltre che poeta fu scrittore assai fecondo e si cimentò con la narrativa e col teatro.
In poesia ricordiamo la silloge di sonetti “Belfonte”, di ispirazione amorosa, e le odi e canzoni raccolte in “Italiche”, entrambe del 1903.
Un’aura di serena malinconia, coerente con la sua visione di una poesia come dono di bellezza, virtù e grazia necessaria alla vocazione civile dell’uomo, aleggia nelle ultime composizioni della raccolta “Endecasillabi ” del 1949, dove sono estranei le inquietudini più drammatiche dell’umanità da poco uscita dall’immane tragedia di una guerra mondiale.
La poesia per Pastonghi è umiltà , bontà, amore. Il poeta deve sapere essere un “mendico più di ogni altro mendico”, e non possedere altro che amore e soprattutto deve saper far tenere sempre viva nell’animo la fede nei propri ideali.
Il suo canto deve essere puro e semplice, come il canto dell’usignolo nel mese di maggio. E’ bello gustare l’ultimo Pastonghi, quello degli Endecasillabi, nella lirica “Abbiamo staccato i cavalli” dove l’ansia di evasione, soffusa di una virile malinconia, si incarna in accese figurazioni simboliche.
Ma ormai avanza il nuovo espresso dalla poetica riformatrice del futurismo, il movimento di avanguardia letteraria e artistica di Filippo Tommasi Marinetti, che lentamente prenderà il campo.

Eduardo Terrana
Saggista e Conferenziere Internazionale su diritti umani e pace
Tutti i diritti riservati all’autore

EDUARDO TERRANA
CONTATTI/INFO:
pugliadaamareonline@gmail.com

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