
UMBERTO SABA LA POESIA COME SCRUPOLOSA RICERCA DEL VERO
di Eduardo Terrana
Umberto Saba nasce a Trieste il 9 marzo del 1883. Sua madre Felicita
Rachele Cohen, di nazionalità ebrea, viene abbandonata prestissimo dal
marito Ugo Edoardo Poli, giovane gaio e leggero ed insofferente dei
legami familiari.
La donna vive già sola quando mette al mondo il
figlio Umberto e non potendo accudirlo lo mette a balia da una contadina
slovena, tale Peppa Sabaz, che avendo perso il suo figliolo, riversa su
di lui ogni amore e tenerezza. Sarà per questa ragione che Umberto Saba
rifiuterà il cognome del padre Poli e, in omaggio alla nutrice,
prenderà lo pseudonimo di Saba, che in ebraico, peraltro, vuol dire
“pane”.
Saba vive un’infanzia difficile, segnata dalla condizione di
figlio che ha lontano il padre e dalle ristrettezze economiche che non
gli consentiranno di compiere studi regolari. Si forma pertanto una
cultura da autodidatta.
Un anno importante della sua vita è il 1909
quando finito il militare fa ritorno a Trieste e sposa Carolina
Wolfer, la “Lina” de “Il Canzoniere”. Nel 1910 nasce la figlia Linuccia
e scrive le poesie della raccolta “Casa e campagna” alle quali faranno
seguito quelle della raccolta “Trieste e una donna”. Nel 1911
esordisce con il volume “Poesie”, che, però, viene drasticamente
stroncato dal critico Slataper, collaboratore a Firenze della rivista
“La Voce”. Nel 1912 si stabilisce a Bologna dove collabora con “Il
Resto Del Carlino”. Nel 1915 partecipa alla prima guerra mondiale. A
guerra conclusa rientra nella sua Trieste dove acquista una libreria
antiquaria. Ciò gli consente finalmente una certa agiatezza e libertà e
di dedicarsi quasi completamente alla poesia. Nel 1921 pubblica a
Trieste la prima edizione de “Il Canzoniere”, che raccoglie le sue
precedenti pubblicazioni. La sua poesia comincia ad essere apprezzata e
nel 1928 registra l’attenzione e l’interesse della rivista “Solaria”
che gli dedica un intero numero unico. Nel 1929 cominciano a
manifestarsi le prime crisi depressive con momenti di insostenibilità
tali che gli fanno desiderare la necessità del suicidio e che in
seguito si faranno sempre più intense e pesanti e lo costringeranno a
intense cure psicoanalitiche. Nel 1941 le leggi razziali del regime
fascista lo costringono a lasciare Trieste e a trovare rifugio presso
amici dapprima a Parigi e poi a Roma. Nel 1945 pubblica la seconda
edizione de “Il Canzoniere” con l’aggiunta di nuove poesie, scritte
posteriormente al 1921. Nel 1946 arriva con l’assegnazione del Premio
Viareggio il riconoscimento alla sua statura di poeta. Nel 1948
pubblica “Storia e Cronistoria del Canzoniere”, un saggio critico del
poeta verso se stesso e la sua poesia. Nel 1950 i suoi disturbi nervosi
si aggravano e subisce numerosi ricoveri clinici. Per lenire il dolore è
costretto al ricorso della morfina. Nel 1953 ottiene la laurea honoris
causa in letteratura dall’Università di Roma e il Premio dell’Accademia
dei Lincei per la sua opera “Ernesto”. Muore d’infarto a Gorizia il 5
agosto del 1957.
La cultura di Umberto Saba ha fonti diverse.
Petrarca, Metastasio, Parini, Foscolo Leopardi, Baudelaire, Haine, il
filosofo Nietzsche e Freud sono i suoi maestri.
Il suo linguaggio
poetico si connota di aulicità, chiaro l’influsso della tradizione
classica in particolare di Petrarca e Leopardi, e di quotidianità.
E’ però quella del Saba una quotidianità diversa da quella che si
riscontra nei poeti crepuscolari. Questi infatti guardano, sì!, al
quotidiano , alle cose di tutti i giorni ma con distacco, mentre Saba si
immerge nel quotidiano per trovarvi la via che concili “la fatica di
vivere e il doloroso amore per la vita”.
Si suole affermare che
Saba è un decadente. Forse certe intuizioni, tipo quelle che lo portano
ad identificare gli uomini con gli animali, possono essere viste in
chiave decadente, ma di certo non lo sono il suo senso della vita come
flusso unitario e il modo di intendere e di vivere il legame tra la sua
vita privata e, per dirla con le sue parole, “il popolo in cui vivo ;
onde son nato.”
La poesia di Saba è semplice e chiara. E’ una
poesia che adopera le parole d’uso quotidiano e che ritrae aspetti
della vita di tutti i giorni, anche i più umili e più dimessi; che
ritrae luoghi, persone, paesaggi, animali, che coglie dagli avvenimenti
e ritrae la città al poeta tanto cara: Trieste, con le sue strade, i
suoi angoli, il suo mare.
Una vera dichiarazione di poetica la si
può cogliere nella lirica “Il Borgo”, dove si legge: “La fede avere di
tutti, dire parole, fare cose che poi ciascuno intende e sono, come i
bimbi e le donne, valori di tutti. “
E’ quella del Saba una poesia
che ha una funzione liberatoria, la forma poetica gli consente di
rivelare quella verità istintuale che l’uomo civile altrimenti censura e
reprime.
L’opera principale di Umberto Saba è “Il Canzoniere”, da
lui concepito come opera autobiografica, edito per ben cinque volte, la
prima nel 1921 e poi, sempre con nuove raccolte, nel 1945, nel 1948, nel
1951 e nel 1961.
Progettato secondo il disegno di un itinerario
poetico che segue fedelmente quello della vita dell’autore, “Il
Canzoniere” è per Saba “Il libro nato dal romanzo della sua vita”, per
cui , come egli stesso scrive “Bastava lasciare alle poesie il loro
ordine cronologico; non disturbare con importune trasposizioni, lo
spontaneo fluire e trasfigurarsi in poesia della vita”.
“Il
Canzoniere” è, pertanto, la rappresentazione totale dell’uomo Saba,
della sua vicenda esteriore ed interiore, e della sua poesia, come
scrupolosa ricerca del vero, connessa alla sua biografia.
In un
linguaggio semplice e quotidiano, che ricalca il modello classico, il
Saba esprime ne “ Il Canzoniere” tanto la celebrazione della
quotidianità in tutti i suoi aspetti, anche quella più nascosta e più
dimessa, ed in particolare gli affetti personali e familiari dedicati
alla moglie Lina e alla figlia Linuccia, quanto il tema amoroso che si
realizza nella rappresentazione del rapporto con la moglie Lina e con
altre giovani donne vagheggiate con i toni di una naturale e candida
carica erotica; si sofferma, altresì: sul tema dell’accettazione della
vita, con il suo perenne oscillare di sogni ed illusioni e deludenti
esperienze; sulla sua città natale, Trieste; sul mare, simbolo di fuga e
di avventure spirituali; sulle memorie dell’infanzia, del rapporto con
la natura e delle riflessioni sull’attualità.
Da ricordare sono
anche i 16 sonetti della “Autobiografia”, pubblicati nel 1923 su un
numero della rivista “Primo Tempo”, dove Saba ripercorre, dall’infanzia,
le tappe essenziali della sua vita: il servizio militare, i contatti
difficili con gli intellettuali de “La Voce”, l’amore per Lina e per
Trieste e il suo giornaliero lavoro: “Una strana bottega d’antiquario /
s’apre a Trieste , in una via secreta…/ vive in quell’aria tranquillo
un poeta “.
Due sonetti, però, su tutti rivestono un’importanza
significativa perché evidenziano aspetti particolari della
personalità e della poesia di Saba: “Quando nacque mia madre “ e “ Mio
padre è stato per me”, che rappresentano le conseguenze che il rapporto
difficile con la madre e l’assenza del padre hanno avuto sul poeta.
Scriverà lo stesso Saba all’amico Giacomo De Benedetti “Un mondo nuovo
apparve davanti al mio spirito … Devi sapere che alla radice della mia
malattia stava la mancanza del padre: ma come, in qual senso e con quali
conseguenze è cosa incredibile e vera”.
Tutti i poeti, scrive De
Benedetti, chiedono alla poesia compensazioni e risarcimenti ma Saba le
attribuisce una funzione ed una bontà materni.
E infatti la poesia
prende il posto della madre troppo severa e dei tanti “ perdoni
materni non concessi”, a cui il poeta fa cenno nelle prime poesie .
In questi sonetti dunque sono compresenti le voci discordi che Saba
avverte nel suo intimo , quella leggera, gaia, disponibile alla vita,
che gli deriva dal padre, e quella severa, austera, che gli viene
dall’educazione limitante, costrittiva e rigida, della madre.
Sono
varie le raccolte di poesie de “Il Canzoniere”: “casa e campagna;
“Trieste e una donna”; “mediterranee”; “ultime cose”; “cose leggere e
vaganti”; “uccelli”; “quasi un racconto”. Di qualcuna ne tratteggiamo
gli aspetti più significativi e ne cogliamo il significato.
Nelle
poesie della raccolta “casa e campagna”, è svolto il tema della
identificazione uomo-animale, scoperta di una legge di dolore che
accomuna tutte le creature; ne sono espressione le liriche “A mia
moglie” e “La Capra”. Nella prima Saba celebra la moglie
paragonandola alle femmine di varie animali , di cui mette in luce,
francescanamente, le qualità e la colloca in un gioco di contrasti al
centro del quale campeggia ed acquista spessore la figura di Lina, la
moglie che , attraverso le varie metamorfosi, diviene lentamente se
stessa.
Così la pollastra, la giovenca, la cagna, la coniglia, la
formica, la pecchia, sono “tutte le femmine di tutti i sereni
animali, che avvicinano a Dio”, che realizzano il miracolo della
mutevole identità di Lina, che costituisce in assoluto il perno della
poesia.
La lirica “La capra” è invece un’altra testimonianza della
capacità del poeta di discendere o di innalzarsi a quella misteriosa
dimensione in cui la vita degli uomini si incontra e si identifica con
la vita degli animali. In questa lirica, però, l’adesione al mondo
animale è esclusivamente in una dimensione dolorosa, il poeta vede nel
viso della capra i tratti semitici dell’ebreo perseguitato e la poesia
diventa, pertanto, simbolo lirico della condizione umana di dolore e di
pianto universale.
Nelle poesie della raccolta “Trieste e una
donna”, il poeta ricerca l’armonia con tutte le creature per realizzare
l’aspirazione ad immettere la sua vita nella calda vita di tutti e ad
essere come tutti gli uomini di tutti i giorni.
Saba esprime con
questi temi una sorta di vitalismo erotico sentito come immersione nel
flusso della vita e quindi come innocenza. Ne sono espressione le
poesie: il torrente, Trieste, città vecchia.
“Il torrente”, che
appariva al poeta fanciullo pieno di fascinosa avventura, ora gli si
rivela nell’età matura senza più particolari significati. E’ solo un
esile filo d’acqua che bagna appena i piedi nudi ad una lavandaia.
Ma il torrente riavvia la memoria, srotola la matassa dei ricordi e
attraverso il filo della memoria rende possibile il recupero
dell’infanzia e consente al poeta di cogliere ancora la realtà, come
fosse ancora presente, dell’erba che cresceva sulle sue sponde, e che
ancora cresce nel suo ricordo, e le vive passeggiate serali con la madre
che le faceva incomprese similitudini, a quel tempo, tra quell’acqua
fuggitiva e la vita degli uomini che se ne fugge sempre tanto
velocemente.
“Trieste è la città, la donna è Lina!”, dirà lo stesso
Saba in “Autobiografia” sintetizzando così in un sol fiato i suoi due
amori: Trieste e la moglie Lina.
La città e la donna assumono per la
prima volta le loro specifiche identità e sono amate appunto per quello
che hanno di proprio e di inconfondibile, ma con un qualcosa di
aggiunto,Trieste non è vista e cantata con l’occhio del visitatore,
bensì con l’animo di chi ci vive e l’ama di un affetto unico e
smisurato, e la sente sua con una intensità tale da sublimare in essa
l’espressione e la proiezione del suo stesso animo.
“ Essere uomo
fra gli umani / io non so più dolce cosa “. Questi versi sintetizzano
lo spirito che anima la lirica “Città vecchia”,considerata come
un’esemplare realizzazione di una costante di Saba , e cioè : di cercare
riparo nella “calda vita di tutti gli uomini e di tutti i giorni“. Il
poeta si sente parte del tutto, si sente immerso nella città, che sente
come un mondo popolato da creature simili a lui, nelle quali come in
lui “si agita il Signore“ , si sente immerso “nella folla
rigurgitante nei vicoli e vicoletti della città vecchia”, che gli ispira
pensieri di religiosa adesione.
La lirica “Ultimi versi a Lina”,
fa parte della raccolta “ Ultime cose”, pubblicata a Lugano nel 1944 in
un tempo cupamente tragico per l’intera umanità e particolarmente
angoscioso per il poeta. E’ l’ultimo pensiero poetico espresso in versi
che il poeta dedica alla moglie Lina in ricordo dei giorni della loro
giovinezza.
Due momenti diversi animano la poesia. Il primo
ricostruisce, attraverso una serie di immagini, una sera trascorsa con
la moglie e con le amiche ad ascoltare la banda musicale che suonava e
richiamava gente. La memoria zumma sulle immagini al poeta ancora tanto
care: le luci che oscillano sui porta spartiti quando la banda marciava
guidata dal maestro che batteva il tempo alzando e abbassando il
bastone; le amiche della moglie, con i loro pregi e difetti:quella
buona, quell’astuta, quella infedele; i prati verdi fuori e dentro la
città; il suono lacerante delle sirene delle navi a vapore che
lasciavano il porto; le osterie chiassose sparse per le campagne .
Il secondo momento è quello della dolorosa ma calma accettazione:
quelle cose ormai appartengono al passato, e sono via via svanite ad una
ad una col trascorrere del tempo, ed il poeta adesso ormai avanti
negli anni, ama ritrovare quelle immagini, quei frammenti di vita
trascorsa, nella meditazione, e quei momenti, restituiti dalla memoria,
sono un dono prezioso.
La lirica “Ritratto della mia bambina” fa
parte della raccolta “Cose leggere e vaganti”. E’ un giorno estivo di
festa e la figlia del poeta Linuccia , interrompendo il gioco della
palla, gli chiede di uscire con lui. Indossa la bambina un leggero
vestitino azzurro, lo stesso colore dei suoi occhi, lo stesso colore del
cielo. Il poeta si sofferma a pensare a quali immagini della natura
accostare la bellezza, la dolcezza della bambina. Nella schiuma marina,
nelle nubi che si formano e si dissolvono nel cielo, nella scia di fumo
che esce dai tetti e sembra azzurra al dissolversi dell’aria, trova gli
accostamenti adatti ad esprimere quella leggerezza e quella mutevolezza
infantile così dolce e sorprendente.
La Lirica “ Il fanciullo e
l’averla”, fa parte della raccolta “Uccelli”. Saba ci rappresenta la
curiosità dei fanciulli , che si esprime in modi sempre insaziabili di
tutto, in particolare di conoscenze e di possesso di specie del mondo
animale, esprimendo, appena raggiunto l’oggetto del loro desiderio,
immensa gioia, con l’immediata però conseguente noia e disinteresse che
accompagna la caduta del desiderio non appena soddisfatto. Un fanciullo
giunge a possedere un’averla che poi dimentica. Si ricorda di lei
solamente un giorno in cui, per noia o per cattiveria, vuole stringerla
in pugno, ma l’averla lo becca e gli scivola dalla mano volandosene via
lontano. La condizione dell’averla in gabbia, che soffre, in solitudine
ed silenzio, le da dimensioni quasi umane, e diventa simbolo di quella
condizione umana che soffre in solitudine ed in silenzio chiusa nella
gabbia della vita.
“ Fui sempre un povero
cane randagio” è il verso che chiude “Il Canzoniere” postumo, edito nel
1961, e chiude anche l’autobiografia del poeta, delineandone però una
raffigurazione angosciata, in cui si compendiano la lacerazione tra
l’orgoglio ed il rimpianto della propria difficile individualità ed il
bisogno di immersione nell’esistenza, nonché l’opzione per una poesia di
sentimento e di riflessione, comunque espressa sempre con toni di
affabile colloquialità.
Ciò che fa di Umberto Saba un poeta dalla grazia scontrosa ma propria ed inconfondibile.
Eduardo Terrana
Conferenziere internazionale su diritti umani e Pace
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